Il bilancio regionale è governato da nessuno. Occorre un bagno di umiltà e tanta sobrietà istituzionale

Manganellate e “manganellate”. Il termine che lega il conflitto tra pezzi dello Stato, a Pisa come a Palermo.
A Pisa il popolo, che compone lo Stato, è stato preso a manganellate dallo stesso Stato, che lo organizza e governa.
Lo scriviamo in attesa della conclusione delle indagini affidate ai Carabinieri, tuttavia consapevoli che ci sia stato un eccesso di zelo da parte delle forze di polizia in campo, anche nei confronti di giovani studenti.

Corte dei Conti contro Palazzo d’Orleans

A Palermo, invero, il conflitto istituzionale si consuma tra la Procura generale della Corte dei Conti siciliana, diretta da Pino Zingale e il governo regionale, guidato da Renato Schifani.
Zingale nei giorni scorsi non si sarebbe risparmiato a distribuire “manganellate” evidenziando una “fattispecie di mala gestio delle finanze regionali”.
In effetti è un’anomalia (anche questa!), le eccezioni, quindi la difesa, rispetto alle gravi rimostranze eccepite dalla Procura dovrebbero essere rintuzzate da Palazzo dei Normanni e non dall’inquilino di Palazzo d’Orleans.
D’altra parte, a differenza di altre regioni italiane, al procuratore Zingale non è venuto difficile infilzare di fioretto il petto di Schifani che ha ereditato (senza appellarsi al beneficio dell’inventario) gli errori del passato, uomini di governo compresi.

L’eredità di Schifani

Ha lasciato nel libro paga della Regione Siciliana l’ex assessore al Bilancio e – senza nulla togliere allo spessore umano, alla professionalità, quindi alla capacità politica – nominato l’assessore Marco Falcone (già responsabile delle Infrastrutture nella XVII Legislatura) al dicastero che per cinque interminabili anni fu di Armao.
Per carità, niente da ridire, ma che competenza può avere un avvocato nel complicato settore della contabilità pubblica?

(Quasi) tutti avvocati

Alla stregua del Ragioniere generale, del Direttore generale del Dipartimento delle Finanze e del Credito e del Capo di Gabinetto, avvocati anch’essi.
Più pertinente al ruolo, in via Notarbartolo, sembrerebbe il coordinatore della segreteria tecnica dell’assessore, laureatosi nell’87 in Scienze agrarie con il massimo dei voti e la lode.

È sfuggito?

Insomma nella confusione generale, o incompetenza (decida il lettore), nessuno si sarebbe accorto – sia nella predisposizione del bilancio della Regione Siciliana, nell’approvazione in Giunta, quindi in Aula (che ha il potere di stravolgere e riscriverlo nella sostanza, non dimentichiamolo) – a titolo di esempio, che nella Finanziaria 2024 dello Stato, approvata a dicembre scorso, sono previste delle sensibili riduzioni delle aliquote dell’Imposta sui Redditi delle Persone Fisiche (IRPEF) e che le stesse avrebbero avuto delle pesanti ripercussioni sui conti della Regione.
Oltre 164 milioni di euro solo per il 2024 – fanno sapere da via Notarbartolo, senza nascondere la preoccupazione –  e per gli anni futuri sarà ancora peggio. In fin dei conti nei “leali” rapporti coltivati tra lo Stato e la Regione Siciliana al peggio non c’è mai fine.

Il duello

Ritorniamo all’improprio duello tra la Corte dei Conti e il Governo regionale.
L’idillio si sarebbe rotto nel 2015, galeotta fu la scelta imposta da Roma al governo Crocetta di rinunciare ai crediti (senza accertarne l’esigibilità), vantati dalla Regione, che provocò un disavanzo di competenza di oltre 10 miliardi di euro.
Dal giorno in cui fu avallata quella decisione (tutto è iniziato con la delibera di giunta n. 204 del 10 agosto 2015) sul terreno del disavanzo si sono consumate battaglie all’ultimo sangue tra le due Istituzioni, che a nostro parere condividono colpe sullo stesso piano, sotto lo sguardo indifferente dello Stato che ha assistito irresponsabilmente a continue diatribe che hanno e avranno, pesanti ripercussioni sui cittadini siciliani.

Accertate le cause del disavanzo

E dire che sul disavanzo nel 2019 (Governo Musumeci) è stata nominata una Commissione che specificò le origini di questa “asimmetria contabile”, mettendo alla luce particolari che avrebbero dovuto essere portati all’attenzione della Commissione regionale Antimafia e stigmatizzati dalla stessa Procura regionale della Corte dei Conti.
La relazione conclusiva della Commissione è stata, di fatto, esaltata nel corso di una conferenza stampa tenuta dall’assessore Armao, salvo poi essere puntualmente riposta sotto il tappeto.

Polvere d’oro

La conseguenza di tutta questa confusione e della “polvere d’oro” (per lo Stato e a danno dei siciliani) riposta sotto il tappeto dal Governo Musumeci, continua a evidenziare caos e incertezza, in quanto ogni anno la Regione deve accantonare, a danno dei siciliani, delle cospicue somme mettendole a disposizione dello Tesoreria dello Stato, senza conoscere (?) – di fatto – l’origine di questo buco miliardario che continua ad  alimentarsi ogni anno.

Incompetenza e rapporti deteriorati

Quindi ci ritroviamo nel 2024 ad assistere alla parifica (Corte dei Conti) del bilancio 2020, registrando l’ulteriore conferma della inadeguatezza del sistema di controllo dei conti pubblici, da parte della burocrazia e all’inesorabile deterioramento dei rapporti tra le Istituzioni pubbliche che dovrebbero ispirarsi a comportamenti più sobri, a difesa delle rispettive immagini.
Non osiamo immaginare cosa accadrà quando, a cascata, la Corte dei Conti si ritroverà a parificare i bilanci degli anni successivi, tutti caratterizzati – per la proprietà transitiva – da una “constatata artificiosa dilatazione del potere di spesa”.

Manca il governo della contabilità

La Regione Siciliana, è la realtà dei fatti, ha una contabilità che appare governata da nessuno e il Governo regionale (la competenza questa volta ricade in capo a esso) dovrebbe avere l’umiltà di farsi aiutare da due (al massimo tre) tecnici in grado di mettere a nudo la realtà. In verità la Sicilia ha pochi figli capaci di rendere questo servizio, ci vuole coraggio e indiscutibile competenza ad aprire il vaso di pandora, tuttavia si potrebbe ricorrere anche al di fuori dello Stretto e senza aspettare la realizzazione del Ponte.

Chiamatelo come volete…

Chiamatelo commissariamento o con altri fantasiosi termini, in un momento di emergenza occorre fare delle scelte politiche coraggiose, per salvare il salvabile e questo non avviene attraverso le dichiarazioni rese alla stampa. Il Re è nudo, urge prenderne atto.
Il cuore della Sicilia, a prescindere dalle sue incommensurabili bellezze, è la contabilità che necessità di essere messa in sicurezza e governata con competenza.
Il tema non è la giurisprudenza o la piantumazione di  alberi di ulivo ma di numeri che non possono essere gestiti con un foglio Excel, oppure in funzione della ripartizione di risorse tra le forze politiche rappresentate a Sala d’Ercole.

Partire dalle origini

Occorre partire proprio dall’origine del disavanzo e dalla messa in discussione della ripartizione decennale, in quanto non si tratta di un debito del popolo siciliano o di un credito vantato dallo Stato. Insomma la “cassa” non c’entra, semmai è una questione di competenza.
La restituzione allo Stato del disavanzo non è riportata sulle Tavole di Mosè e pertanto la Legge può essere messa in discussione.
Ecco, ci vuole un bagno di umiltà e, lo ribadiamo, tanta sobrietà istituzionale e uno Stato che faccia (finalmente) lo Stato.